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Come la lingua modella il potere: lezioni dall’incontro tra Zelensky e Trump

La lingua non è mai solo un insieme di parole.

È veicolo di cultura, uno strumento di influenza e un indicatore di potere. Questa realtà è emersa chiaramente nell’ormai noto incontro tra il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, analizzato dalla giornalista Barbara Serra nel suo articolo Did Speaking English as a Second Language Impact Zelensky in THAT Meeting with Trump?, pubblicato il 2 marzo 2025.

L’analisi di Serra mette in luce come la competenza linguistica, la cultura e il privilegio linguistico influenzino la diplomazia internazionale e, più in generale, il mondo degli affari, dell’educazione e della leadership globale.

L’incontro è stato già esaminato da numerosi punti di vista politici, ma c’è un aspetto meno approfondito: il ruolo di Zelensky come parlante di una seconda lingua, che ha dovuto muoversi in un contesto linguistico asimmetrico. Pur essendo fluente in inglese, alcune sue espressioni sono state fraintese e hanno contribuito alle tensioni del confronto.

Ma il punto più rilevante, come sottolinea Serra, è che l’inglese, in quanto lingua dominante a livello globale, conferisce automaticamente maggiore credibilità e influenza ad alcuni parlanti rispetto ad altri, indipendentemente dalla profondità dei loro argomenti.

Cosa significa tutto questo al di fuori della diplomazia?

Per chi lavora in ambienti multilingui, nel business internazionale o nell’educazione linguistica, questo caso è una potente dimostrazione di quanto la diversità linguistica e i pregiudizi linguistici siano temi fondamentali di cui discutere.

Ecco tre lezioni chiave tratte dall’analisi di Barbara Serra, applicabili direttamente alla leadership multilingue, ai luoghi di lavoro globali e all’educazione inclusiva.


1. La lingua è cultura

Serra sottolinea come la scelta delle parole di Zelensky abbia influenzato la percezione del suo messaggio. Quando ha detto:
“Even you, but you have a nice ocean and don’t feel now, but you will feel in the future”,
probabilmente voleva sottolineare che la posizione geografica degli Stati Uniti garantisce loro sicurezza, ma non una protezione assoluta. Tuttavia, la frase “you will feel” può essere interpretata come un’affermazione che gli Stati Uniti soffriranno, poichè l’ausiliare “will” suggerisce l’idea di un qualcosa che succederà sicuramente (ricordi le lezioni di grammatica inglese al liceo?), un messaggio che ha innescato la reazione difensiva di Trump.

Questo episodio mette in evidenza una verità fondamentale nella comunicazione multilingue:
📌 Conoscere una lingua non significa necessariamente comprenderne il quadro culturale in cui è inserita.

Lingue diverse strutturano in modi differenti la logica, le emozioni e l’argomentazione.

Per chi lavora in ambienti multilingui, questo sottolinea la necessità di andare oltre la semplice padronanza tecnica di una lingua e sviluppare una vera competenza culturale.

🔹 Un professionista multilingue può parlare un inglese perfetto, ma trovarsi comunque in difficoltà nel modulare il proprio stile comunicativo in base alle aspettative culturali di un parlante nativo.

Negli ultimi tre anni ho studiato a fondo il multilinguismo nel business e nei contesti professionali, e questo problema emerge spesso nelle aziende multinazionali. Ecco quindi alcuni esempi concreti di come questa sfida si manifesti frequentemente nelle aziende multinazionali (riferimenti in fondo alla pagina).

Un leader tedesco nel settore automobilistico ha descritto così la difficoltà di gestire team internazionali:
“Se non discutiamo le cose fino in fondo, ognuno capisce qualcosa di diverso. Così cinque persone finiscono per avere cinque opinioni diverse su cosa rappresenti il nostro modello.”

Questo dimostra quanto sia essenziale avere strategie comunicative chiare e culturalmente adattabili nel business globale.


2. Dinamiche di potere nella lingua: chi stabilisce lo standard?

Serra evidenzia anche come Zelensky sia stato giudicato secondo un criterio diverso solo perché l’inglese non è la sua lingua madre. Trump e Vance non hanno tenuto conto del fatto che stesse parlando in una seconda lingua, ma hanno reagito alle sue frasi come se fossero dichiarazioni assolute, senza considerare le sfumature perse nella traduzione.

📍 Questo riflette una realtà più ampia nel business internazionale e nei luoghi di lavoro multilingui:
L’inglese è la lingua dominante a livello globale, ma è anche una lingua privilegiata.

I parlanti nativi di inglese raramente devono adattarsi ai non nativi, mentre il peso dell’adattamento ricade sempre su chi parla più lingue.

Un professionista rumeno nel settore automobilistico ha descritto questa sfida così:
“Dici qualcosa, intendi qualcos’altro, ma viene frainteso. La gente capisce una cosa completamente diversa. E te ne accorgi solo quando l’errore viene messo in pratica.”

📌 Questo dimostra come i fraintendimenti linguistici possano tradursi in errori aziendali costosi.

Nelle aziende, questo problema si manifesta spesso sotto forma di pregiudizi verso gli accenti, supposizioni sulla competenza basate sulla fluidità linguistica e aspettative irrealistiche nei confronti dei parlanti non nativi.

⚠️ Se la lingua determina la credibilità, chi viene ascoltato, promosso o ritenuto affidabile? ⚠️

Per chi guida team multiculturali, l’analisi di Serra è un promemoria di quanto i pregiudizi linguistici possano creare barriere invisibili.

Le aziende che promuovono l’inclusività linguistica, attraverso formazione, sensibilizzazione e sviluppo della leadership multilingue, riescono a valorizzare meglio i talenti globali e le prospettive diverse.


3. Accenti e percezione: la gerarchia non detta del modo di parlare

Il confronto fatto da Serra tra il trattamento riservato a Zelensky e quello al primo ministro britannico Keir Starmer dimostra quanto gli accenti influenzino la credibilità.

Trump, che in passato aveva criticato l’accento di un giornalista afghano, ha invece lodato l’accento britannico di Starmer, dimostrando una chiara preferenza per determinati modi di parlare.

Questa è una realtà che va ben oltre la politica.
📌 Le ricerche dimostrano che alcuni accenti vengono percepiti come più autorevoli, mentre altri – soprattutto quelli non occidentali o non nativi – sono soggetti a pregiudizi.

Nei contesti professionali, questo significa che il modo in cui si parla può determinare il livello di credibilità percepito.

Un professionista giapponese nel settore tecnologico ha raccontato il suo problema con le email in inglese:
“Quando un giapponese scrive in inglese, pensa prima in giapponese. Se leggi un’email da un collega giapponese, devi pensare prima in giapponese per capire cosa intende.”

📍 Questo dimostra come le strutture linguistiche influenzino gli stili di comunicazione e perché sia fondamentale uno sforzo reciproco per colmare questi divari nei team multinazionali.

Le aziende e le istituzioni devono riconoscere e contrastare i pregiudizi linguistici.
Invece di valutare la competenza sulla base della fluidità o della pronuncia, devono adottare strategie per valorizzare la diversità linguistica come un punto di forza.


Conclusione: maggiore consapevolezza linguistica nella leadership

L’analisi di Barbara Serra sull’incontro tra Zelensky e Trump non è solo un commento politico, ma un caso di studio su come la lingua influenzi il potere, la percezione e il processo decisionale.

Per chi lavora in ambienti multilingui, questo significa riconoscere che:
La fluidità linguistica non è solo grammatica, ma anche adattabilità culturale.
Il privilegio linguistico fa sì che alcune voci siano ingiustamente valorizzate più di altre.
I pregiudizi sugli accenti influenzano credibilità e opportunità di leadership.

Solo promuovendo ambienti inclusivi dal punto di vista linguistico possiamo superare questi bias e riconoscere il multilinguismo per ciò che è davvero: un vantaggio, non un ostacolo.


Riferimenti:

  • Did speaking English as a second language impact Zelensky in THAT meeting with Trump? Barbara Serra
  • Tenzer, H., Pudelko, M., & Harzing, A. W. (2014). The impact of language barriers on trust formation in multinational teams. Journal of International Business Studies, 44(5), 508–528.
  • Fredriksson, R., Barner-Rasmussen, W., & Piekkari, R. (2006). The multinational corporation as a multilingual organization: The notion of a common corporate language. Corporate Communications: An International Journal, 11(4), 406–423.

E tu che ne pensi? Ti sei mani sentito/a discriminato per la tua lingua, il tuo accento o forse il tuo dialetto? Fammi sapere, ti leggo!

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Karin Martin

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Ciao sono Karin, una linguista plurilingue! In questo blog si parla di vivere la vita con più di una lingua. Condivido le mie piccole grandi scoperte personali e professionali per rendere questo mondo un posto migliore. Spero tu possa trovare l’ispirazione che cerchi!

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